sabato 31 ottobre 2015

Volare - racconto breve

La stanza è piena della sua mancanza. Se n’è andata, ma non so se biasimarla. In fondo ci trascinavamo lungo questa vita come estranei. Me ne rendo conto ma non sospettavo quel rancore.
Se guardo la porta di questo insulso monolocale, riesco a vederla uscire. La immagino fuori dalla porta con un sorriso di soddisfazione a fior di labbra e nello stomaco la sensazione di una nuova libertà.
A me non ha lasciato niente, se non il profumo delle cose che ha toccato. Perché lei era così. Tutte loro sono così. Profumano.
Anche quando fece a pezzi i fogli dele mie poesie per lei. Anche quando rise delle mie lettere piene d’amore. Anche quando prese a calci il mio cuore, che come un cane si era avvicinato a leccarle i piedi. Lei profumava.
Ora sono qui solo con la mia sigaretta. L’odore del tabacco vuole cancellare il suo.
Ma non ci riuscirà.
Domani dovrò tornare al lavoro ed affrontare quella massa di coglioni che mi berciano a fianco, parlando di calcio e di figa, ignari del dolore che avrò dentro, quel dolore che lei mi ha lasciato e che credo mai se ne andrà.
Così mi avvicino alla finestra spalancata sul tramonto. Quel sole che sta annegando dietro ai tetti delle case sembra inviarmi il suo ultimo saluto. Sembra che mi abbia visto dentro, perché poi secondo gli antichi il sole tutto vede. O quasi.
Così getto la sigaretta al di là fuori e mi arrampico sul cornicione. Sotto in molti corrono di qua e di là. Non sanno nulla. Non gli interessa.
Penso ancora a lei. Un passo.
L’aria che mi frusta il viso è calda. I pomeriggi invitanti della nuova primavera. Chiudo gli occhi perché in fondo tutto questo mi spaventa.
Quando sono ormai pronto all’impatto, ecco una forza inattesa che interviene sostenendomi. La direzione del vento cambia. Il mio corpo non pesa più. D’istinto allargo le braccia e quando apro gli occhi mi rendo conto di volare. Come in un sogno. Triste Peter Pan adulto.
Sto volando! Un qualche dio benevolo a forse rivolto i suoi occhi distratti quaggiù e ha voluto premiarmi per la mia disperazione. Ho ricevuto un inaspettato dono!
La prima cosa che faccio è salire. Sempre più in altro, dove le nuvole sembravano annerire. Ma più salgo e più mi trovo illuminato da quel sole fuggevole, che tenta invano di scappare. Continuo a vederne i raggi dorati.
Quando guardo in basso vedo le case e i palazzi. Le strade sono già illuminate da lampioni e fanali. Scendo in lenta spirale, accorgendomi di quanto in fondo sia inutile tutto l’affannarsi. Tutto il correre. Tutto il soffrire.
Riesco a vedere casa mia da qui! Chissà in quanti film ho sentito questa frase. Mi avvicino librandomi lentamente. Mi muovo a zig-zag come quegli insetti che sembrano incapaci di volare in linea retta. Con la prospettiva cambiata noto particolari assurdi, che mai mi avevano interessato prima come i cornicioni delle finestre tutti sporchi di nero fumo e cagate di piccione. I nidi nascosti e ancora deserti delle rondini. Vedo attraverso le finestre la gente che litiga e s’abbraccia senza senso.
Non penso a lei. Volare me la fa dimenticare. Non è vero, perché se ne ho appena parlato, significa che un po’ ancora ci penso. Però il dolore è lenito dalla gioia del vento sulla faccia. E lenire il dolore è già tanto per me adesso.
Da fuori la mia finestra è uguale a milioni di altre. Anonima. Un buco con dentro una vita.
D’improvviso avverto sotto di me un susseguirsi di rumori concitati.
Una piccola folla si è radunata. Voci, urla.
Mi avvicino fluttuando a mezz’aria, incurante delle possibili reazioni della gente, ma hanno tutti lo sguardo rivolto all’ingiù.
Quando uno spiraglio si apre tra la calca vedo un corpo a terra. Le membra piegate in angoli innaturali. Il sangue sull’asfalto.
Il viso atteggiato in una smorfia di dolore ha le labbra piegate in un sorriso appena accennato che fa intuire come in fondo ora lui stia meglio.
Come in fondo ora io stia meglio.
E mi libro di nuovo verso l’alto, come un vecchio gabbiano asceso ad un livello superiore di coscienza. Verso l’ignoto nero della notte. Senza più pesi.

___
un racconto breve di Ago
da un'idea dell'amico Giuseppe Scilipoti

foto tratta dal sito di Guglielmo Rispoli



11 commenti:

  1. una storia triste, romantica la citazione al gabbiano Jonathan.

    RispondiElimina
  2. però anche parlare di calcio e figa non è male :)

    RispondiElimina
  3. Tristissima e affascinante.
    Hai sperimentato i sogni lucidi?

    RispondiElimina
  4. Morire per amore...no, non ne vale la pena.
    Neppure per un grande amore.

    Nulla rende eterno l'amore come il sacrificio di una morte, ma sarebbe, comunque e sempre un amore univoco, che andrebbe a coprire di gloria il sopravvissuto e di terra il suicida.

    Un saluto, AGO.
    A presto :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sono completamente d'accordo. C'è chi vede nell'estremo gesto una liberazione od un suggello. Io tendo a vedere solo una fuga.
      Per amore bisogna combattere non morire.

      Elimina
  5. Sei semplicemente un grande AGO, ho letto questo racconto!!!
    "Volare".... non ti sei ispirato alla celebre canzone di Modugno, o ad altri racconti oppure film....ma ti sei ispirato nientepopodimeno che a me, un modesta persona che ha giusto un qualche velleità da scrittore, e nulla di più e credimi vedere una mia opera....anzi il mio primo racconto scritto in vita mia (adesso sono quota a sette) che è diventato fonte di ispirazione per uno scrittore veterano come te non può che rendermi felice.... è un onore. Facendo la comparazione, i nostri due racconti hanno in comune molte cose ma allo stesso tempo sono diversi dallo stile e dalla struttura. In comune innanzitutto abbiamo il titolo che si assomiglia (il mio è "Volo", il tuo è "Volare") mentre per quanto riguarda il protagonista (che sarebbe l'Io narrante) hanno in comune un amore perduto, un lavoro tedioso, dei colleghi stronzi e ignoranti. Anche il volo è abbastanza simile, nel tuo caso una volta che il protagonista vola, non atterra più mentre nel mio come ben sai le cose vanno diversamente. Il finale è abbastanza diverso, il mio ha un tocco fantascientifico, mentre il tuo è un dramma, anche se comunque il mio volendo lo è anche e hanno in comune però una cosa: Sentirsi liberi dalla società e da tutto ciò che li opprime! Mi ha emozionato tantissimo leggerlo, come ho detto precedentemente per come è strutturato è diverso dal mio, il tuo ha come dire....più poesia. Il mio invece nonostante alcune parti dolci, è abbastanza contorto e cupo. AGO dopo questo racconto, la nostra amicizia non può che crescere di più, mi scuso di averlo solo ora, purtroppo ultimamente sono stato preso da un milione di cose.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Caro Giuseppe, le differenze ci sono e anche le assonanze. Ho adottato un finale più tragico, perché temo che in fondo questa sia la vita. Meno male che a renderla un po' meno amara ci sono gli amici. Anche digitali...

      Elimina
    2. E comunque mi piacciono le tue idee... leggi la mail!

      Elimina
  6. Grazie che ti piacciono le mie idee e grazie per l'e-mail che ho provveduto a leggere, e ti ringrazio per il tempo che stai dedicando ai miei racconti e alle tue opinioni sincere. Ti manderò al più presto un'altra e-mail, ho scritto un nuovo racconto! Ti ringrazio inoltre per annoverarmi (anche se digitale) tuo amico, non hai idea di quanto tengo cara questa amicizia.

    RispondiElimina