Mathra si sveglia. Ha un sapore metallico in bocca. Fatica a tenere gli occhi aperti, un bagliore terribile li offende. I suoni le arrivano ovattati e tenui. Un crepitio continuo. Poi un tonfo, lontano.
Mathra si crogiola in quel tepore. Le sembra di trovarsi stesa sul prato accanto alla sua nuova casa, in quei pomeriggi assolati quando Tulek le si sdraiava accanto, per sussurrarle impacciate parole d’amore. Tulek il cacciatore dei boschi, che aveva voluto erigere il loro nido al di fuori delle mura della cittadina-avamposto, quasi al margine del bosco, dove lui si aggirava come terribile fiera in cerca di preda. Osservavano insieme le nuvole trascorrere nel limpido cielo del nord i due sposi novelli, con quell’amore delicato che li faceva sentire al centro dell’intero mondo. Si bastavano l’un l’altro: il rude cacciatore e la giovane donna.
L’uomo balbettava frasi dolcissime, che nel cuore di lei erano ancora più belle delle poesie degli antichi poeti.
-La tua pelle è morbida come le piume della civetta, che fa il nido sugli alberi nel folto dei boschi. E io amo la civetta, che è mia sorella cacciatrice. E tuttavia sei tu sua sorella, perché io sono la tua preda.- diceva l’uomo per il quale esisteva un mondo fatto solo di inseguitori e iseguiti.
-I tuoi baci sono il miele dell’orso. Sono il fuoco delle falene, poiché io in essi mi perdo e muoio.-
Il fuoco! La coscienza di un pericolo imminente fa riprendere i sensi a Mathra che si leva di colpo. Tenta di respirare, ma l’aria è troppo calda e polverosa. La cenere le ottura il naso e le ferisce la gola. Intorno la casa sta bruciando. Ogni parete è un muro di fiamme. Il suo nido d’amore si sta trasformando in trappola mortale. Fuori, presto! Corri Mathra, le dice il suo istinto. Ecco, uno spiraglio tra le fiamme. Fuori il verde del bosco. La salvezza.
Mathra tenta con fatica di mettersi in piedi, ma il dolore è troppo forte. Si tocca le cosce. Sono sporche di sangue. Una fitta al ventre la stordisce fino a perdere di nuovo i sensi. Mathra è forte, però. Con un urlo disperato si getta tra le lingue di fuoco. Appena fuori sente il tetto crollare sull’abitazione, distruggendola. Mathra non si volta. Compie ancora alcuni passi barcollanti. Le lacrime le rigano il volto sporco di fuliggine. È rabbia. È dolore.
Mathra vede un cespuglio e lo riconosce come un rifugio. Vi si accoccola sotto e si ritira in un oblio nero.
Quando i primi raggi del nuovo giorno filtrarono attraverso le pesanti tende, dono della madre della sposa, Mathra si svegliò da un sonno profondo e ristoratore. Accanto a lei dormiva il suo uomo. Lei lo osservò, vedendolo per la prima volta con gli occhi della sposa, conscia che da quel momento avrebbero condiviso la loro vita per sempre. Non era propriamente un bell’uomo, si sorprese a pensare. Aveva lineamenti molto marcati, la fronte leggermente sporgente, la mascella spigolosa coperta da una folta barba nera. Le sopracciglia anch’esse nere guizzavano con sorprendente velocità verso l’alto quando si infuriava, il che capitava di rado, ma erano episodi di cui tutti conservavano vivida memoria. Gli occhi scuri erano in quel momento di riposo protetti da lunghe ciglia nere, che ne evidenziavano le espressioni.
-Ti amo.- sussurrò e poi si alzò per preparare una buona colazione al marito.
Quel giorno Tulek decise di uscire per una battuta di caccia.
- Devi proprio andare? Non mi sento sicura in casa da sola.-
-Sei una sciocchina.- Le disse baciandole i capelli colore del rame e annusando il profumo della sua pelle. -Sarò di ritorno domani o al massimo in un paio di giorni e ti porterò un bel cervo, che potremo dividere coi nostri amici, o anche affumicare per l’inverno. Non sia mai che io faccia patire la fame alla mia famiglia!-
-Ti prego non andare. Ho un brutto presentimento!- Mathra sembrava spaventata veramente e qualcosa nella sua voce fece breccia nell’animo dell’omone, che tuttavia si limitò a sorriderle dolcemente. Poi si caricò in spalla l’arco e le frecce, la borsa con le provviste e si incamminò verso il bosco. Lei lo vide allontanarsi con quel suo passo baldanzoso e quasi arrogante nella sua spavalderia, rimanendo sull’uscio di casa ancora vestita della leggera camicia da notte. Dopo alcuni istanti lo sentì fischiettare un allegro motivetto mentre si allontanava.
Mathra si sveglia dal torpore. Sente freddo in quella mattina di primavera, il gelo è dentro di lei e la sta divorando. Si sporge da un lato e vomita il dolore e il disgusto mentre tenta di sollevarsi sulle gambe malferme. Piccolo cucciolo, cerbiatto appena nato ancora sporco di sangue materno.
Appoggiandosi al tronco dell’albero si accorge di stringere un oggetto sconosciuto. Una collana. La osserva Mathra come se fosse la cosa più importante del mondo, come se quell’oggetto fosse il fulcro attorno al quale lo spazio ed il tempo si equilibrano. Come se non ci fosse null’altro introno, né case rosse di fiamme, né alberi rifulgenti di verdi gemme. Né aria, né sole. Solo lei e quella collana. Il cordino di cuoio trattiene delle pietre blu sbozzate rozzamente e decorate con motivi geometrici. Una pietra è una rozza sfera. Un’altra appare come una sgraziata mezzaluna. La terza più scura sembra un piccolo teschio deforme. Un lampo nella memoria mentre. Duro impatto del ricordo.
Mathra stava accudendo alle faccende domestiche, quando qualcosa fuori dalla casa attrasse la sua attenzione. Fino a quel momento aveva sentito gli uccelli cantare tra i rami del vicino bosco, ma da qualche istante, non avrebbe saputo dire da quanto, un insolito silenzio era calato tra le fronde. Per qualche motivo i peli sulla nuca le si rizzarono, quasi un istinto primordiale la avvertisse di un imminente pericolo, ma lei decise ugualmente di dare un’occhiata all’esterno. Si avvicinò alla porta d’ingresso rassicurandosi tra sé, ripetendosi che non poteva esserci niente di brutto la fuori. Si trattava solo di immaginazione. La mano si avvicinò piano alla porta. Quando l’aprì lo spettacolo che si trovò di fronte la lasciò senza fiato. L’uscio era completamente ostruito da una figura enorme. Le spalle erano larghe quanto il vano della porta. E la testa ne sfiorava l’architrave. La faccia della creatura era atteggiata ad un’espressione di scherno, con le labbra arricciate sulle zanne giallastre. La creatura emanava un fetore tale, che lasciò Mathra assalita da una nausea fortissima. I due si guardarono per qualche attimo, immobili. Mathra fu la prima a scattare verso il focolare cercando disperatamente qualcosa con cui difendersi dall’orco, che nel frattempo era entrato in casa sguainando una spada enorme.
Le mani di Mathra si chiusero su un coltello, che la donna brandì con tutta la forza che possedeva. Ma i movimenti della donna erano goffi e impacciati. Per un po’ l’orco si limitò a schivare i colpi della donna, assestandole leggere piattonate dopo i suoi affondi, quasi a volersi fare beffe di lei facendole capire quante volte lui l’avrebbe potuta uccidere. Poi l’orco si stufò di quel gioco e le piattonate divennero sempre più forti finchè una in pieno viso non le fece perdere quasi del tutto i sensi. Accasciata sul pavimento Mathra sentiva l’orco che la trascinava lungo il pavimento prendendola per una caviglia, quindi la girò sul dorso e con un deciso movimento le strappò i vestiti. Mathra fu conscia solo di un dolore lancinante e del puzzo terribile dell’alito dell’orco. Nell’ultimo tentativo di liberarsi afferrò qualcosa che ciondolava dal collo del suo aguzzino e lo tirò sperando inutilmente nella sua visione distorta al limite della coscienza di infliggergli un qualche colpo. Ma la collana si staccò e l’orco non se ne accorse nemmeno. Quando il dolore raggiunse il culmine, la sua mente si staccò da quella scena infernale, rifugiandosi nei recessi più profondi della memoria. Poi d’un tratto sentì come una mano pietosa che le chiudeva gli occhi e tutto fu buio.
Mentre è persa nei meandri di un inubo reale Mathra sente dei rumori provenire intorno a lei. Spaventata si rifugia come una lepre selvatica sotto un cespuglio e li si pose tremante all’ascolto. I suoni si fanno sempre più vicini. Voci. Voci familiari. È Guordin il suo vecchio zio materno. Piano si trascina fuori dal cespuglio e tenta di chiamare l’uomo a sua volta, ma tutto quello che le esce dalla gola fu un rabbioso suono strozzato dalla cenere. Qualcosa si spezza dentro, la tensione e la paura si ferma cedendo il passo al sollievo. Mathra si rilassa per un attimo e il pianto sgorga da lei come una catarsi.
Guordin, vedendo la capanna ormai ridotta ad un mucchio di rovine fumanti si maledice per la sua lentezza. Sul punto di disperare, percepisce con l’anima, più che con l’udito, il pianto dirotto della sua prediletta nipote, che ama come una figlia. Il vecchio contadino corre in direzione del suono, che nel frattempo si è fatto tanto più chiaro quanto disperato. Infine giunge da Mathra. La trovaa prostrata a terra, in preda ad una disperazione, ad un terrore e a un dolore che lo sovverchiano. Tutto ciò risce a fare è raccoglierla da terra come quando era una bambina e portarla in braccio fino al villaggio. Per tutto il tempo Mathra non proferisce parola ma si stringe al collo del vecchio mescolando alle sue le proprie lacrime.
Giunto nei pressi della sua casa, Guordin chiama a gran voce la moglie.
- Lada! Lada! Vieni presto, dobbiamo aiutare la povera Mathra! –
La vecchia donna si sporge sull’uscio e vede il marito camminare a gran velocità verso casa. Quando capisce cosa è il fardello che lo gravava, Lada ha un forte tremito credendo Mathra senza vita. Guordin si avvicina con lo sguardo ricolmo di uno strano miscuglio di terrore e speranza, la donna spalanca la porta e corre nella stanza accanto per preparare un giaciglio adatto ad accogliere la nipote, compiendo nel frattempo diversi segni di superstizioso augurio.
Guordin distende Mathra su letto con tutta la delicatezza di cui è capace, poi porta un bracere nella stanza in modo da scaldarla e alcune candele. Lada nel frattempo aveva messo una pentola piena d’acqua accanto al fuoco e stava preparando delle bende.
- L’ho trovata nascosta sotto un arbusto. – disse – urlava e piangeva, mentre la sua casa bruciava fin quasi alle fondamenta. Non ho trovato nessun segno di Tulek. Oddio Lada, spero che non sia… -
- non possiamo occuparci di nessuno fuorché di quella povera figlia – esclama Lada con voce tesa – ora passami l’acqua calda e vai al villaggio a chiamare Gonda la levatrice. Prega intanto e andrà tutto bene. –
Guordin richiede alle sue gambe un ultimo sforzo, incamminandosi con la maggiore velocità possibile verso la casa della levatrice, che aveva anche una fama poco rassicurante di strega e fattucchiera, ma non c’era neanche un minuto da perdere.
Intanto Lada si accosta a Mathra, che geme sommessamente a tratti spalancando gli occhi terrorizzata, come rivivendo terribili momenti, a tratti scivolando un in ristoratore sonno senza sogni. La vecchia prende delle pezze morbide e comincia a detergere con delicatezza il corpo della giovane dal sudore e dal sangue, dalla cenere e dalle lacrime, sussurrando una ninna nanna dolce e antica, fin quando Mathra si addormenta del tutto.
Gonda si levò in piedi e tracciò alcuni arcani segni a mezz’aria con la mano destra contemporaneamente gettando alcune erbe nel bracere, dal quale si levò un fumo denso e aromatico. Dopo di che spense le fiamme delle candele con le dita e uscì dalla stanza. Richiudendo la porta tracciò altri invisibili segni su di essa.
Guordin era in piedi accanto alla finestra e guardava evidentemente a disagio la levatrice, la quale si rivolse a Lada ignorando del tutto il vecchio.
- Donna dovrai avere coraggio. – le disse con un’enfasi che spinse le sopracciglia di Guordin ad intrecciarsi sulla radice del naso. – vedo nubi nere addensarsi sul cielo di quella sventurata ragazza, io temo per il futuro. -
AGO,questo racconto che ho letto tutto d'un fiato mi ha appassionato tantissimo,è scritto molto bene.
RispondiEliminaNel blog andando più avanti ho visto che hai continuato la saga,la leggerò senz'altro,sono davvero curioso di leggere come andrà a finire.
Complimenti AGO,vedo che il fantasy è anche pane per i tuoi denti,non è un genere facile da raccontare.
Bravo!
Il fantasy è e rimane il mio grande amore. Complice il buon Tolkien e tanti tanti altri.
EliminaTi ringrazio del tuo apprezzamento!