Andrea scese dall’auto. Puttana, pensò. Ho bisogno di un po’ d’aria, disse.
L’abitacolo era pieno fino a scoppiare delle stronzate dette da Martina. Andrea sbattè la portiera. La notte gli penetrò nei polmoni. Quando lei gli aveva proposto di tornare in quell’angolo di campagna che per primo li aveva visti insieme, lui aveva pensato a qualche strana strategia femminile per riassestare il loro rapporto. Qualcosa letto su una di quelle riviste che passano con nonchalance dalla tratta delle schiave agli assorbenti interni, Dalle ultime novità della moda, alle quote rosa in Parlamento. Roba da donne.
Magari aveva seguito i risultati di un test intitolato Come riconquistare il proprio uomo. Di quelli con domande tipo: Il tuo lui dorme a sinistra o a destra?, Quanto spesso ti porta fuori a cena? Ma la soluzione offerta non era stata “fagli un pompino come si deve” ma “portarlo nel luogo del vostro primo incontro.
Comunque la cosa si era rivelata una fregatura per Andrea. Credendo di intuire il gioco di Martina, si era prodigato in mille galanterie. Piccole frasi complimentose, un po’ stucchevoli. Le aveva aperto la portiera. L’aveva invitata a bere. Tutte quelle cose che si fanno soprattutto all’inizio di un rapporto di coppia. Per loro quasi cinque anni fa.
Andiamo questa sera al vecchio mulino? Gli aveva proposto lei quel pomeriggio. Vorrei parlarti. Ma certo, le aveva risposto lui. Che ne dici se prima passiamo a bere qualcosa? Un cocktail, magari. È tantissimo che non andiamo al Ciringhito. Ti ricordi che Margarita facevano lì? Ok. Erano andati al Ciringhito. Il Margarita acquisiva riflessi rosei quando Martina avvicinava le labbra al bicchiere. La sua lingua usciva dalle labbra un momento prima, per assaporare la brina salina sul bordo di vetro. Andrea beveva un Cuba Libre, spiando la sua donna e ignorando gli sguardi di lei, che comunque non capiva. Usciti dal locale l’auto si era trasformata in una bolla di silenzio scuro. Un’incrinazione nella voce di lei, un ringhio nascosto in quella di lui li avevano catapultati nella loro situazione di sempre.
L’ultimo tratto di strada per raggiungere la loro meta era su uno sterrato pieno di buche. Montagne russe e risate la prima volta. Malumore strisciante ora. La sagoma del mulino era un gigante d’ombra contro il cielo che si incupiva. Quando arrivarono il buio era talmente denso che l’edificio si intuiva solo come un ritaglio nella commovente iridescenza del cielo.
Andrea portò l’auto come le altre volte dietro al granaio, dove si vedeva il fiume e la grande pala che girava indolente, rimestando nell’acqua ricordi e dolore. Muovendo una macina sulla vita trascorsa insieme, consumandola. Andrea aveva un pessimo presentimento.
I capelli di Martina erano come quinte aperte su un palcoscenico di dolore. Dramma. Ma Andrea si aspettava una commedia, secondo il codice aristotelico. Un lieto fine insomma. Ma la quiete precedeva di un solo passo la tempesta.
Martina cominciò a parlare. Siamo stati bene un tempo, vero? Ma ora non più. Prima facevamo tutto insieme. Eravamo affiatati e felici, mentre ora... anche in questo momento vogliamo cose diverse. Io mi sento soffocare. Voglio altro. Il nostro rapporto non mi basta più. Ho deciso: parto con Francesca. Andiamo in America. Sole. Non posso più stare con te. Mi dispiace. Martina scoppiò in lacrime. Andrea cominciò a boccheggiare tipo pesce scaraventato sugli scogli da un’onda di tempesta. Scese dall’auto, dicendo e pensando come sopra.
Dall’abitacolo si sentivano i singhiozzi di Martina. Stronza, disse tra sé Andrea. Ma che cazzo piange a fare? Chiese alle stelle.
Prese una decisione. Così. Su due piedi. Risalì in auto. Scendi, disse. Martina lo guardò con occhi enormi. Panda sorpreso. Il trucco sbavato da teatranti lacrime. Un grosso punto interrogativo le si disegnò nello sguardo. Come? disse.
Ho detto scendi. Subito. Non voglio scendere. Non puoi lasciarmi qui, al buio, piagnucolava Martina. E va bene, ti riporto a casa. Grazie. Taci.
Il serpente d’asfalto nero si dimenava incostante sotto le ruote. Mordendoli con velenoso silenzio.
Sotto casa di lei, Andrea si fermò bruscamente. Martina aprì la portiera. Allora ciao, fece. Mi dispiace veramente.
Lui si girò e la guardò. I suoi occhi riuscivano a trascinarlo ancora nei profondi gorghi di un sentimento ormai perduto. La sua pelle pallida sotto la luce elettrica dei lampioni, l’odore della pelle imperlata di un leggero ricamo di sudore e lacrime non se li sarebbe mai dimenticati.
Andrea scese dall’auto. Anche Martina scese. Un’ultima volta i due si trovavano di fronte. Andrea disserrò le dita della mano stretta a pugno e glie le scaraventò in pieno viso. Lei si accasciò per la sorpresa. Non disse niente.
Andrea salì in auto senza voltarsi. E partì.
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Triste. Invernale. Buco nel petto e sagome lontane. Intenso. Mi piace...
RispondiEliminaGrazie, Davide.
EliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaAGO,mi piace davvero il tuo stile,è semplice,diretto,hai la capacità di raccontare bene e sei capace di fornire emozioni al lettore.
RispondiEliminaIn questo caso hai saputo ottimamente rappresentare la fine di un rapporto,il finale poi è un vero pugno nello stomaco anche se in questo caso....un pugno in viso
:-)
Mi piace anche che la prima parte è umoristica per poi procedere nel drammatico e il titolo è azzecatissimo.
Ho dovuto riscrivere il commento,perchè in quello precedente mi ero dimenticato di scrivere qualcosa
Grazie G.
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