Il grande tempio si affaccia
maestoso sul lato est della piazza. Dall’alto domina i tetti della città. Le
sue vie, i palazzi. Da ogni sua strada o vicolo è possibile scorgerne il tetto.
Tegole rivestite di lamina d’oro.
Splendente.
Sul frontone le statue di santi
antichi, parlano di atti eroici ed obsolete battaglie. Accanto, uomini e angeli
annunciano la buona novella. I loro gesti eloquenti illustrano alla popolazione
il corretto modo di piegare il capo in preghiera. Devozione cieca.
Mi avvicino timoroso e sporco
alle bianche pietre. Il viaggio è stato lungo. Faticoso. Lascio che la facciata
mi sovrasti. I pannelli bronzei del portale sono aperti. Dall’interno mi arriva
alle narici l’odore dell’incenso. Inquietante. Finalmente, dopo giorni di duro
cammino, sono arrivato.
Piano entro in quest’immensa
cattedrale. Sono accolto da una selva di colonne di bianco marmo, picchiettate
dai raggi del sole. Le vetrate istoriate li hanno vestiti di colore. Caleidoscopio.
I capitelli lontani riportano figure. Sono distanti però. Troppo. Il buio li
avvolge.
Ai piedi delle colonne il pubblico,
i fedeli, è immerso in un brusio d’attesa. Al suono argenteo di una campanella,
tutti si alzano. Entra il Gran Sacerdote. Con il suo seguito di paffuti
chierici e preti.
Dal fondo della navata riesco a
cogliere la ricchezza delle sue vesti. I fili d’oro. Le pietre preziose. La sua
voce però rimane lontana. Gira le spalle a noi, alla sua gente. Si rivolge
all’altare.
Con le mani volte in alto, prega.
O così sembra.
Sono immobilizzato. Mi guardo
intorno. Vedo marmi, pareti decorate. Vedo ori.
Sento l’odore dell’incenso e
quello delle parole dette a mezza voce da uomini e donne smarriti.
Vedo nicchie piene di ceri,
testimoni di ex-voto che ardono. Inutili suppliche.
Sono arrivato fin qui. Ma Dio qui
non c’è.
Allora torno a casa. Calpesto le
mie orme, quasi cancellate dal vento. Punta su tallone. Il vento ora mi
percuote l’altra guancia.
Risalgo le discese. Giorni che
diventano notti.
Finalmente arrivo alla mia casa.
Apro l’uscio.
Mi accoglie l’odore familiare
delle cose note. Il volto sorridente di mio figlio.
In silenzio si avvicina. Io mi
inginocchio sulla soglia. Pieno di polvere e speranze infrante. A capo chino.
Lui mi abbraccia.
Sono avvolto dal profumo dei suoi
capelli. Dal calore del suo corpo.
Non avevo bisogno di andare tanto
lontano.
Proprio qui. Quotidianamente
accanto.
Dio è.
___
Bel finale.
RispondiEliminaMi avevi abituata a finali piu' sorprendenti pero' bello...
RispondiEliminaBel finale e bel racconto,molto spesso si tende a cercare ciò che in realtà abbiamo sempre avuto.
RispondiEliminaNon voglio fare una critica sulle chiese,sul Vaticano e sui preti,quello che voglio dire e che Dio c'è sempre e ovunque, dico soltanto e che purtroppo la chiesa nel corso della storia ha sputtanato in toto la religione,e di esempi ne potrei fare moltissimi
Qui nel racconto assistiamo difatti a questo protagonista che cercava Dio in questo "tempio" maestoso,spettacolare,vistoso e appariscente,ma che solo alla fine lo trova anzi..lo ritrova
Il figlio del protagonista o anche la famiglia in generale difatti li possiamo simboleggiare a Dio,si sa.. i figli sono una benedizione
e la famiglia e sacra.
E dio c'è comunque, chiesa o non chiesa....
Il vero dio si nasconde nelle piccole cose
Elimina