Con un deciso colpo al pedale misi in moto la mia vespa azzurra e diedi gas per due o tre volte. Sentii l’odore acre della benzina e degli oli bruciati, che salivano verso l’alto in una nuvola azzurrognola. Saltai in sella e mi avviai all’edicola.
Strano, non la uso mai per tragitti così brevi. Tra la mia vecchia casa di corte e la mia meta c’erano infatti soltanto poche centinaia di metri. Comunque in un attimo arrivai e parcheggiando proprio davanti all’edicola da cui mi servivo da anni, anzi direi da sempre, mi chiesi come avrei fatto poi a tornare indietro, dato che mi ero infilato in un senso unico. Senza risolvere il problema entrai in negozio e feci le mie compere. Non ricordo di cosa si trattasse.
Uscito di lì, feci saltare la moto dal suo cavalletto e la girai per tornare indietro a braccio, almeno per un tratto.
La sentii stranamente pesante. Feci molta fatica a trascinarla lungo il marciapiede dal manto disconnesso e pieno di buche. Misi un piede in fallo, la vespa si sbilanciò e dovetti fare da contrappeso con tutto il corpo per poterla rimettere in equilibrio.
Voltandomi la vidi.
Forse era stata lei ad urtarmi leggermente oppure fui io a scansarmi per lasciarla passare, ricordo di averla percepita avvicinarsi.
Mi chiese scusa con un sorriso dall’aria timida di quei suoi occhi colore del ghiaccio ma che nascondevano una grande forza. Subito si stabilì tra noi una strana attrazione, che fece diventare il nostro sguardo di scuse reciproche uno sguardo d’intesa.
Ci presentammo in tono amichevole. Quindi la invitai a casa mia.
Percorrevamo a passo rallentato dal peso della moto la poca distanza che mancava. Provavo un turbamento strano, di certo suscitato dalla compagnia di quella creatura intrigante ma anche dal senso di colpa per aver compiuto un così manifesto e grave strappo alle regole. La stavo portando non a casa mia, ma a casa nostra. Mia e di Francesca. Non ci avevo neanche pensato, la forza strana che ci aveva legati non mi aveva fatto pensare neppure per un minuto fino a quel momento alla mia compagna che mia attendeva.
L’eccitazione era diventata nel frattempo tanto grande, che non riuscivo più a sentire le nostre chiacchiere. Il sangue pompava con forza in tutto il corpo, martellandomi nelle orecchie. Ero ebbro di una sensazione che mi stordiva, che mi penetrava e mi rapiva. Non stavo tradendo, no! La stavo portando a casa. A casa nostra.
Gliel’avrei presentata. Non si trattava di un incontro clandestino o vietato. Tuttavia sapevo che qualcosa non andava ma non mi importava niente. La mia mente era divisa dolorosamente tra il greve senso di colpa e dalla turbinante eccitazione.
Giunti a casa la feci entrare e accomodare in soggiorno, mentre andai a chiamare Francesca che stava in qualche altra stanza.
I momenti successivi sono un ricordo confuso di chiacchiere, sguardi complici e colpevoli. E di rimprovero. I suoni mi giungevano ovattati e distanti, le parole vuote ed inutili. Solo gli odori si impressero con ferocia nella mente. Odori femminili, di aliti freschi, di capelli morbidi, di pelli.
Ci trovammo d’un tratto a letto. Tutti e tre nudi.
Dalle espressioni di Francesca si capiva chiaramente il disagio grande che provava, la sua riluttanza a prestarsi a quel gioco e il suo sforzo. Ero infastidito da quel suo umore e tutto il mio corpo rifuggiva da lei, intendendone l’affettazione.
Ero completamente rapito dall’altra. Dai suoi occhi invitanti e dalla bocca calda. Passavo dal baciare una roccia al baciare una rosa. Durante quei momenti però una voce che proveniva da non so dove, forse dalla mia strana coscienza, mi ricordava di riservare a Francesca i baci più caldi, le carezze più lievi e la prima di ogni azione mi venisse in mente.
D’un tratto la presi. La adagiai sul letto e le aprii con decisa dolcezza le gambe titubanti. Il suo ventre si sollevava e abbassava, ritmato dalla tensione. Mi distesi su di lei per penetrarla, per farle sentire che nonostante fossimo lì in tre, non c’era per me nessun’altra. Il suo viso si distorse in una smorfia quando le toccai con la mano le labbra e il clitoride. Nonostante li sentii asciutti e tesi, provai comunque a fare l’amore con lei, accarezzandola piano. Sentii che trattenne le gambe. Che tentava di richiudersi per tenermi fuori. A quel punto, deluso e amareggiato, in preda a una rabbia enorme la lasciai lì distesa e mi avvicinai all’altra.
Il suo corpo era caldo. I fianchi larghi e accoglienti. I seni palpitanti. E le labbra accoglienti. Strofinò il suo corpo sul mio, poi si voltò e si inginocchiò davanti a me. Le toccai con grande smania, con voglia quasi bestiale. Mi sentivo duro, eccitato fino allo spasimo.
La penetrai da dietro, prendendola così come mi si era porta. Si spanse in me una sensazione di calore, di un’accogliente umidità. Incominciai a muovermi avanti e indietro. Sentivo salire un orgasmo profondo e totale. Anche lei lo avvertì e mi urlò di uscire, di non rimanere in lei fino alla fine. Io tentavo di trattenermi più che potevo. Assaporavo quel magnifico piacere senza curarmi delle sue suppliche. Quando non ce la feci più, un non so ché di coscienza, sopravvissuto al furore bestiale del coito, si accese in me e uscì appena in tempo per inondarle la schiena e le cosce.
Mi svegliai di soprassalto con le mani nei pantaloni bagnate e sporche, col cuore che batteva a mille e un’amara delusione che fosse solo un sogno. Facendo attenzione a non svegliarla mi alzai. Barcollando raggiunsi il bagno e mi diedi una pulita.
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fantasie, realtà, forse sarebbe meglio rimanere incastrati tra queste 2 dimensioni.
RispondiEliminaÈ esattamente dove mi trovo
EliminaIl sogno a volte è piu eccitante della fantasia
RispondiEliminaCarino il racconto!!!
Grazie G.
EliminaIl sogno ha ancora meno vincoli!
complimenti. un sogno molto...realistico
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