Orrore. Sangue. Disperazione. Questa è la mia vita. Ora.
Prima di quel maledetto giorno erano baci. Lavoro. Famiglia. Amore. Maria.
Ora lei dov’è? Dove sta trascinando i suoi passi lenti, crudeli, inesorabili?
Mi sta cercando? Io la vorrei trovare e darle pace. Finalmente. Nonostante l’orrore e la paura.
Quando ci conoscemmo, mi ero appena laureato. Medicina, una tradizione di famiglia. Mi sentivo in obbligo di proseguire la strada di mio nonno e di mio padre, due luminari e professori universitari. La incontrai al mercato. Lei vendeva con la madre i frutti della terra e del duro lavoro.
Dopo mesi di incontri clandestini pieni di passione, annunciai alla mia famiglia il nostro matrimonio. Che creò scandalo. Dovetti letteralmente fuggire e mi trasferii in campagna. Nel paesino di lei.
La guerra imperversava. Fui mandato al fronte come ufficiale medico, ma un colpo di mortaio interruppe presto la mia carriera militare. Tornai da lei con una gamba zoppa, che ancora oggi mi tormenta. Lei mi curò. Con amore e dita ruvide. Mani inesperte.
Maria rimase presto incinta. La gravidanza fu difficile. Lei fu costretta spesso a letto e non poche volte venne presa da sconforto e disperazione. Temeva il momento del parto. Temeva il dolore. Poverina. Non si immaginava niente.
Era sul finire della primavera. Già nei campi si preparava il primo raccolto. La terra stava per regalare la sua abbondanza. E la sua maledizione. La guerra distruggeva intere Nazioni ma la natura restava indifferente a questo inutile conflitto. Le notizie però arrivavano anche a noi. Gli alleati preparavano un attacco. Forte, imponente, risolutivo.
La mattina del 6 giugno 1944 mi svegliai di soprassalto. Maria urlava. Stava partorendo. Non corsi a chiamare la levatrice. Pensai di potermela cavare da solo. Cosa potevano quelle sciocche tradizioni davanti alla scienza moderna?
Mai assistetti ad un parto più difficile. Il bambino non si era del tutto girato e faticava ad uscire. Maria era allo stremo delle forze. Sapevo quello che c’era da fare, ma non potevo. Non su di lei. Mai l’avrei fatto.
Con un ultimo sforzo sovrumano, Maria riuscì infine a partorire il bambino. Un maschio. E una cascata di sangue. Purpureo presagio.
Porsi il piccolo alla madre. Roseo, paffuto. Ignaro del dolore. Lo appoggiai sulla pancia di Maria, che lo guardò. Gli accarezzò i capelli sporchi e bagnati e si accasciò. Era morta.
Piansi. Mi disperai, ma ancora non sapevo.
Passò del tempo. Il piccolo vagiva piano. Quando colsi un movimento. Maria aveva sollevato il bambino in aria. I suoi occhi lo fissavano, ma era come se non lo vedessero. Piegò la testa di lato, come per porsi una domanda. Poi con un movimento rapido morse il bimbo su una gamba. Lui gettò un urlo terribile, che ancora oggi mi risuona nella testa. Dolore, paura. Incredulità. Maria stava divorando il suo stesso figlio.
Impietrito dall’orrore, rimasi inchiodato al pavimento, come trattenuto da un peso invisibile, non riuscii a far altro che guardare mentre lei affondava i denti in quella carne rosea e morbida. Le viscere del piccolo si riversavano sulla madre. Che lambiva i pezzi di carne pulsante con la lingua. Quando il bambino smise di urlare, Maria lo gettò via come una bambola brutta.
Con il sangue che le colava dalle fauci e la vestaglia lorda mosse i passi verso di me. Qualcosa allora mi riscosse. Il suo sguardo forse. Di terrore e disperazione. Fu un attimo. Uscii di casa e mi misi a correre più veloce che potei verso il paese.
Appena calpestai il selciato e vidi alcune persone, mi accasciai al suolo. Svenuto.
Quando mi svegliai corsi a casa. Nessuno era andato fin laggiù. Qualcosa stava succedendo. Ovunque. Io non li ascoltai. Non seguii i loro consigli. Corsi a casa. Trovai la porta spalancata. Maria non c’era più. Una scia di gocce di sangue si inoltrava nel bosco ai piedi della montagna.
Sul pavimento, gettato come un cumulo di stracci abbandonato, si contorceva quella massa di carne che un tempo era stata mio figlio. Ne raccolsi i resti, che fremevano tra le mie mani, mentre un istinto demoniaco lo spingeva a tentare di mordermi le dita. Seppellii mio figlio nel giardino di casa. In una buca profonda. Dove avrebbe smesso di dimenarsi quando la natura malefica che lo aveva creato se lo sarebbe ripreso attraverso le bocche dei vermi divoratori.
Questa è la storia. Questo è stato il mio Giorno del Giudizio. Sono dannato, credo.
Ora sono in cerca di lei. La mia Maria. E di un modo per darle finalmente l’eterno riposo.
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un racconto horror di AGO
Mi sono venuti i brividi.. complimenti
RispondiEliminaFelice di averti scosso.
RispondiEliminaSei un grande ! Ti stimo ! metterai altri racconti,
RispondiEliminavero?
Ti ringrazio molto. Pubblico su questo sito settimanalmente.
RispondiEliminaMi farebbe molto piacere se continuassi a leggermi...
Grazie, AGO
Io appassionata di horror ammetto che questo è uno dei più belli. Bravissimo!! Anzi, magari il seguito non mi dispiacerebbe leggerlo.. ;)
RispondiEliminaci stiamo lavorando... per ora: grazie
Eliminatrasferii, con due i
RispondiElimina@##:-<!! corretto, grazie!
EliminaStupendo, complimenti. Mi piace molto il finale; lascia al lettore una domanda a cui lui stesso deve dare una risposta, ovvero: "è stato morso anche lui? Quando ha trasportato il bambino?". O almeno è quello che mi sono posto io mentre lo leggevo. Davvero stupendo. Possa tu scrivere altri brani degni di questo.
RispondiEliminaCaro Isaac, grazie del tuo apprezzamento. Questo racconto si ispira al mondo di Sine Requie, un Gioco di Ruolo creato da Contini e Moretti, pertanto ne segue le regole. Qui i morti "risorgono" per perseguire un unico obiettivo, sfamarsi di carne umana viva. Non è un morbo che si trasmette coi morsi. Il protagonista rimane "sano". Dopo la morte si risolleverà obbedendo ciecamente alla Fame. Prima però speriamo che riesca a dare la pace alla sua innamorata.
EliminaPS: iscriviti al blog!
Ancora grazie, Ago
Questi sono gli horror che piacciono al sottoscritto!
RispondiEliminaBellissimo racconto.
Hai miscelato molto bene gli ingredienti,amore,paura,terrore...e le scene brutali sono ben inserite nel contesto.
Coraggioso l'inserimento della morte del neonato,scena molto cruda e forte,come se la madre si volesse "rivendicare" del dolore patito causata da questa innocente creatura.
Contesto storico azzeccato,che giustifica ed esalta la tematica
Come dicevo sopra, è un racconto ispirato ad un fantastico gioco di ruolo horror ambientato in un alternativo periodo postbellico.
EliminaFelice che ti sia piaciuto!