Finalmente! So che non dovrei dirlo. Forse non dovrei neanche
pensarlo.
Però... finalmente... è morta! Ah che soddisfazione! Sono passati anni
da quella stupidissima sera, quando cogliendo ancora il suo fiore più delicato,
mi inceppai. La retromarcia la funsionò minga. E ciao.
La guerra l’era finita da un pezzo ma ancora si potevano vedere le
profonde ferite che i combattimenti avevano inferto alla terra. Allora, come
oggi, non avevo capito chi avesse vinto.
Comunque la portai in un cantun un po’ fuori il paese, sulla canna de la
bici. Arrivati, appoggiai con cura la mia fedelissima al tronco di un albero e
stesi la giacca per farla sedere. Io ardevo di desiderio ma lei non sapeva
nulla di tutto questo. Le brave ragazze non ne dovrebbero sapere, infatti. Non
come oggi che te la sbattono in faccia senza il minimo pudore, senza
sottomettersi a quel gioco delle parti, che è sempre stato il bello di un
rapporto. Un po’ di galanterie. Un po’ di ritrosie, eccetera.
Disevi. La condussi sotto quell’albero e piano le insegnai come si
diventa donna. Fu una cagada. Se avessi infilato l’usel in un cioc de legn, sarebbe
stato meglio.
Detti la colpa all’inesperienza di lei ed alla mia troppa foga.
Tornammo in quel posto, sotto quell’albero, ancora qualche volta. La
cosa non migliorò.
Purtroppo in molti ci avevano visto filare via sulla bici e tornare
scarmigliati e con qualche pagliuzza nei vestiti e tra i capelli. Quando già
stavo meditando il modo giusto per scaricarla, fummo fidanzati.
Quella sera di luglio la terra l’era calda. L’aria umida e pesante. Afusa
insoma. Arrivammo nel nostro posto già sudati e senza la minima voglia di
andare oltre. Però lei sembrava prenderci gusto e io non volevo farle perdere
il ritmo.
Due settimane dopo suo padre bussò alla porta di casa mia. Non aveva
nemmeno la giacca. Senza farsi annunciare, senza il minimo di ritegno,
lanciandomi un’occhiata che avrebbe potuto uccidermi, andò dritto da mia madre
(mio padre l’era morto da un pezzo) e le mise davanti i fatti. Io avevo
svergognato sua figlia. L’avevo messa incinta. Bigül.
Urgeva un matrimonio riparatore. Subito. E così facemmo.
Lei non me lo perdonò mai. L’era felice solo col bambino e più io
stavo fuori lontano a lavorare o a bere vino, tanto più le cose in casa
andavano bene. Mi trovai da fare. Il calcio, ottimo. Fui allenatore e poi
dirigente di una squadretta locale. Anche mio figlio si appassionò, suscitando
le ire e le gelosie di sua madre.
In tutti questi anni non l’ho mai più toccata e non capisco se per lei
questo sia stato un sollievo o un dolore. Certo lei mai mi cercò.
Io soddisfacevo altrove le mie voglie. Si insomma. Per ogni donna che
fa la ritrosa, ce ne sono un mucchio che amano divertirsi.
Ora le l’è morta. Non so esserne dispiaciuto. Ho sempre dovuto
sottostare alle sue cattiverie. Alla sua rabbia. Il suo rancore mi ha distrutto
e non ha mai permesso a noi tre di diventare una famiglia vera. Eravamo tutti soli.
Ha pensato a me solo come a un colpevole.
Al suo funerale io e mio figlio non ci siamo neanche guardati. Abbiamo
pianto lontani, così come abbiamo sempre vissuto.
Ma volete sapere qual è la cosa più ridicola?
Ieri lei è morta. Oggi sono andato a ritirare gli esami. Tumore allo
stomaco. Dicono sia tra quelli fulminanti. Proprio ora che avevo riacquistato
la mia libertà. Proprio ora.
Sapete cosa vi dico?
Ma và a da’ via el cü!
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grande disavventura quotidiana, bello anche perchè raccontato in presa diretta, con l'utilizzo del dialetto.
RispondiEliminaGrazie Endi. Ispirato ad una storia vera...
EliminaBello. Molto interessante. Aprrezzo l'uso del dialetto. E' come il mio. Scusa l'indiscrezione, di dove sei?
RispondiEliminaComplimenti. Se hai tempo, fai un salto nel mio blog www.raccontibrevibychiara.blogspot.it
Mi farebbe piacere... Dimmi che ne pensi.
Grazie Chiara. Sono della cosiddetta capitale morale d'Italia.
EliminaOttimo inizio il tuo blog. Metti il link per le iscrizioni... e leggi gli shortini di Endi (qui sopra).
Certamente, leggo da un po' anche Endi. I tuoi racconti li ho letti tutti. Ne attendo altri. Ho aggiunto il link per le iscrizioni. Grazie del consiglio.
RispondiEliminaHo sentito il freddo che coinvolge anche i rapporti di oggi.
RispondiEliminaGrazie di aver colto il nocciolo.
EliminaOrmai sono diventato un tuo lettore fisso già da un po'. Questo racconto mi ha colpito molto per la semplicità della storia e per l'utilizzo del dialetto. Anche se ad essere sincero alcune frasi sembrano avere un registro un po' troppo alto e suonano fuori luogo. Ottimo lavoro, il finale mi ha strappato un triste sorriso.
RispondiEliminaGrazie EB. In realtà l'idea è quella del discorso "alto" che scade nel dialetto quando si allenta il controllo. Come fanno i nonni coi nipoti che non capiscono bene il dialetto.
RispondiEliminaBellissimo post e bellissimo blog, complimenti! Se hai tempo mi piacerebbe sapere che cosa ne pensi del mio seppur più leggero blog http://www.malatopianist1.blogspot.it/. Un saluto.
RispondiEliminaGrazie mille!
EliminaCorro a leggere i tuoi post.
Io oltre ad essere tuo lettore fisso caro AGO ti sono come sempre ti ripeto anche fan e amico!
RispondiEliminaQuesto racconto è molto interessante e con un finale non scontato...e sottolinea di quanto sia BASTARDA la vita o forse GIUSTA.
Non so se è pertinente questo commento,ma lo voglio scrivere...si ci provo:
C'è chi dice che tutto è dipeso dal Karma...e se davvero esistesse?
Magari il protagonista ha commesso l errore di allungare il brodo con la ragazza sbagliata,col risultato di fare la "frittata",e sopratutto di trovare "conforto" in altre donne,per quando finalmente dopo essersi liberato del "problema" ecco che poi alla fine arriva un problema ancora più grosso,ancora più bastardo e soprattutto irrisolvibile
Insomma forse la cosa è collegata o forse...no
Ad ogni modo AGO,complimenti come sempre per questi racconti come sempre avvincenti e ben scritti!!!
Grazie Giuseppe per la tua amicizia. La vita è bastarda, confermo.
EliminaCome insegnano le streghe: quello che fai, torna indietro tre volte. Tutto è collegato.
Okkio!