Arrivo al bar. Occhei che è notte fonda, ma nemmeno una luce? Che mi
ricordi, ho sempre trovato Endi dall’altra parte del bancone, col suo ridicolo
straccetto in mano, pronto a lustrare qualcosa. O a parlare. In quello si che è
bravo! Mi ha sempre spinto nella direzione giusta. Spesso mi ha tenuto in riga,
come quei bambini col bastoncino, che facevano correre cerchi di legno. Tanto
tempo fa.
Il bar chiuso è una nota stonata nella musica di questa già strana
notte. Un accordo in minore che si insinua nella melodia grandiosa e silente
dei cieli cristallini oltre i lampioni.
Mi sbagliavo! Il bar non è chiuso, la porta d’ingresso era solo
accostata. Estraggo il mio cannone dalla fondina e come sempre in questi casi
tiro un bel respiro, per calmare il cuore, che aizzato da quel famoso sesto
senso che molte volte mi ha tenuto in vita, ha cominciato a pompare a mille.
Attendo un attimo, in modo che i suoni esterni non siano più
sovrastati dal tump tump sanguigno, poi piano apro la porta e mi intrufolo nel
locale.
Il primo senso ad essere chiamato in causa è l’olfatto. Perché nessun
suono è presente. Nessuna luce è tanto forte da disperdere le tenebre, che
riempiono il locale. È strano come entrando in un ambiente conosciuto ma
normalmente rumoroso e luminoso, non ci si accorga di tutte le sfumature di
odori che lo impregnano.
Ora sento il legno vecchio dei tavoli e delle sedie. Il banco di
alluminio con quella punta acida. Gli effluvi colorati dei liquori, che
trasudano come aloni luminosi dai tappi delle bottiglie esposte dietro al
bancone. Poi un odore di ferro si insinua tra gli altri, come una lama
invisibile. Ferro arrugginito.
Il dito freme sul grilletto, perché qualcosa di orribile è accaduto
qui dentro. Lo percepisco dall’eco silenziosa rimasta a rimbalzare tra le
pareti ed i quadri alle pareti e i colori della mobilia.
Raggiungo con un balzo silenzioso il bancone. Rimango accucciato e gli
giro intorno. La vedo sul piano rialzato dove Endi passa gran parte delle sue
giornate, serate e nottate. Una macchia scura sul piano di calpestio. Nera come
il buio fuori. Nera come i presentimenti che si sono realizzati. È quella la
fonte dell’odore che sentivo. Allungo due dita per sincerarmi di una cosa che
già so. È sangue. Ai bordi coagulato e opaco, lucido e liquido nel centro.
Ancora tiepido.
Cazzo, impreco tra i denti. Che cazzo è successo? La mano dalle dita
sporche si muove con una propria volontà, svitando il tappo di una bottiglia di
rhum di quello buono, che Endi tiene sotto al bancone. Un sorso. Due. Tre.
Il fuoco brucia nello stomaco, ma mi calma. Non è possibile che un
tutore dell’ordine si spaventi per ogni cosa. È chiaro che sono a pezzi,
nonostante le cure di Kriss e le parole di Endi.
E adesso lui dov’è finito?
I brividi sulla nuca si sono trasformati in artigli gelidi. Qualcosa
si muove alle mie spalle. Qualcosa di malvagio. Qualcosa di antico. Qualcosa di
oscuro.
So che è inutile, ma mi giro di scatto scaricando tre colpi. Tre lampi,
tre boati.
Una risata. La mia.
Ho veramente i nervi a pezzi cazzo, dico ai tre occhi neri che ho
creato nella parete del povero Endi, che alla fine di questa storia dovrà dare
una bella pulita a questa bettola e magari un’imbiancata alle pareti.
Mi alzo di scatto, il movimento rapido mi fa girare la stanza intorno.
Tra i vortici dello stordimento sono sicuro di vedere due punti rossi
acquattati nell’angolo più buio. Quando il mondo si ferma, controllo meglio.
Niente.
Cosa cazzo sta succedendo qui? Mi sento dire. Dove cazzo siete finiti
tutti?
Vado nel retro del locale in cerca di qualche indizio, illudendomi che
questo sia ancora un poliziesco, ma temo ormai che stiamo scivolando in una
sorta di gothic pulp.
Infatti la cucina di Endi’s non è quell’atelier da gran chef che si
vede nei programmi tv più in voga. A dire il vero non lo è mai stata. Piccola e
buia, con quel vago odore di decomposizione non proprio incoraggiante. Ma ora
il caos è ovunque. Sono evidenti i segni di lotta. Mi aggiro con in mano la
pistola tra padelle rovesciate, grumi di cibo, sportelli aperti. Nel ceppo di
legno di sei coltelli ne manca uno. La fessura del legno mi fa pensare a cose
brutte. Che sono successe.
Poi trovo la lama mancante in un angolo. È spezzata, come se un gelo
improvviso avesse fatto esplodere l’acciaio inox. So che non è possibile, ma
troppe cose ultimamente non sarebbero dovute accadere.
Raccolgo la lama spezzata. Magari deciderò di farla vedere a qualcuno.
Endi si è difeso, è evidente. Sugli sportelli, sui muri e qua e là sui
piani di lavoro trovo segni strani. Quattro incisioni parallele, profonde. Come
se le griffe di un demone antico stessero cercando di artigliare la preda. Che
probabilmente ha ceduto ed è stata presa.
Il trillo del telefono è come un’esplosione nel silenzio buio. Mi
avvicino lentamente al cimelio che Endi si ostina a tenere sul bancone accanto
alla cassa, sordo al bussare del progresso.
Pronto? Rispondo.
Pronto? Sei tu tenente? chiede l’irriconoscibile voce di Endi. Credo
di avere un problema.
___
un racconto breve noir di Ago
Che sensazione. Mi sembra di starci dentro. <3
RispondiEliminaCi sei infatti!
Eliminabravo,mi piace come scrivi.
RispondiEliminaCiao Stella. Ti ringrazio molto.
EliminaSto recuperando gli episodi che mi ero perso! Che angoscia che viene leggendo questo! Ahahah.
RispondiEliminaallora considero centrato l'obiettivo! Grazie
EliminaUna voce dall'oltretomba, si direbbe...
RispondiEliminaBeh, io ho apprezzato il personaggio che s'interroga sul genere di storia in cui sta muovendosi e il climax generale con tanto di odori e percezioni sempre rese in modo semplice ma incisivo.
Il tutto sotto l'ombra dei Grandi Antichi, ovviamente.
Ciao
Yog Sothoth attende nell'ombra.
EliminaCiao, posso usare un tuo raccontino, citando fonte, blog, autore, per fare una verifica di analisi del testo narrativo a scuola?
RispondiEliminaCiao Angela, ne sarei immensamente onorato. Se ti servisse maggior collaborazione, scrivimi a ago.alieno@gmai.com
EliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaAGO questo episodio è veramente tosto,non ti nascondo che temevo che fosse successo qualcosa al povero Endi....o perlomemo qualcosa gli è "successo" ma per scoprirlo non rimane altro che leggere i prossimi episodi.
RispondiEliminaIl povero tenente Dellastiara ha i nervi a pezzi,gli ultimi eventi l'hanno scosso notevolmente e l' impiego della pistola nè è la prova,forse temeva di essere attaccato da qualcuno o da "qualcosa",e l'istinto si sa a volte è cattiva consigliera specie quando a braccetto con la paura,uno sbirro per quanto possa essere coraggioso è pur sempre un essere umano con i propri limiti.
Mi piace che hai descritto più dettagliatamente il bar di Endi,andando ad esplorare persino la cucina....immagino lo schifo
:-)
Prima di concludere il commento (e che mi scordo sempre di scrivertelo in ogni episodio che leggo) e che trovo molto azzeccata l'idea di non dare una descrizione "fisica" del tenente Dellastiara ma solo interiore (i suoi pensieri,le sue paure,le sue intuizioni ecc...),dai cosi la possibilità al lettore di modellarselo da solo le sembianze di questo tenente molto in gamba.
Io per esempio me lo immagino tipo "americano" quasi un metro e ottanta di altezza,bruno e coi capelli corti,caucasico e con lo sguardo tipico da detective (alla Max Payne).
Adesso mi fiondo al prossimo episodio
Ciao Giuseppe,
EliminaEndi è davvero nei guai...
Più o meno hai azzeccato la descrizione del tenente che ho in mente io