sabato 14 maggio 2011

Nekomata


Eravamo in viaggio già da diverse ore, quando cedetti i comandi al mio copilota. Dovetti svegliarlo rudemente, perché le emozioni della partenza e la tranquillità del viaggio avevano avuto l’effetto di far precipitare lui e metà della squadra in un sonno profondo.
Sasaki Hiroshi si svegliò stiracchiandosi e strofinandosi gli occhi cisposi.
Siamo arrivati, Capitano? mi chiese ammiccando, col suo forte accento di Hokkaido.
Certo che no! sbottai. La stanchezza aveva sempre avuto su di me un effetto più che deleterio. Stiamo sorvolando l’oceano e se avessi la cortesia di svegliarti , potrei riposare un poco anche io.
Agli ordini! rispose Hiroshi sarcastico. Non avrei permesso a nessuno di usare quel tono, ma le numerose missioni compiute insieme ci avevano legato tanto da non essere più capitano e copilota, ma quasi fratelli.
Una volta ragguagliato Hiroshi sulla nostra posizione, gli ricordai la rotta da seguire e di chiamarmi dopo tre ore, in modo da potergli dare il cambio. Avremmo continuato così fino alla meta, in modo da essere entrambe riposati ed al massimo dell’efficienza.
Mi alzai dal sedile di comando accarezzando con un dito la fotografia di Sato Harumi la mia fidanzata, che mi aveva atteso per così tanti anni mentre io ero impegnato in guerra. Le avevo scritto una lettera prima di partire. Quanto l’amavo!
Raggiunsi stancamente i sedili nella parte centrale dell’aereo, che erano reclinabili proprio per permettere un riposo confortevole. D’altra parte ero talmente stanco che avrei dormito anche appoggiato ad un lavandino!
Mi sedetti accanto a Yamakuro Takao, l’autore di questo capolavoro di ingegneria. Aveva personalmente progettato e realizzato tutte le modifiche dell’aeromobile Nakajima G5N Shinzan che ci avrebbero permesso non solo di attraversare l’oceano senza scalo, ma anche di completare la nostra missione con la precisione di un chirurgo. Aveva aumentato il serbatoio, creato impianti per il raffreddamento dei motori, aumentato i flap e la portanza dell’aereo, fino a renderlo maneggiabile come un’automobile. Avremmo puntato il bersaglio e colpito senza il minimo errore.
Una volta avevo notato Takao accarezzare distrattamente una ruota del carrello del nostro bombardiere e mormorare qualcosa, nel tipico atteggiamento di un innamorato. Questi ingegneri hanno davvero uno strano rapporto con le loro macchine! Takao svolgeva anche la funzione di addetto al radar ed alle comunicazioni, mentre l’artigliere Fukuoka si sarebbe preoccupato di Nekomata.
Nekomata era ciò che stavamo trasportando. Attraverso i cieli e sopra le onde. Nekomata sarebbe arrivato al suo obiettivo, ponendo termine a questa terribile guerra. Il Giappone avrebbe trionfato sull’America e avrebbe dominato l’Oceano e metà del pianeta Terra.
Nekomata era una bomba. Atomica. In quegli stessi giorni anche gli alleati tedeschi avrebbero sganciato bombe simili su Londra e Mosca. La guerra sarebbe terminata in un tripudio di fuoco. Il sole avrebbe visto nascere sulla Terra i suoi stessi figli, mentre i nostri nemici sarebbero capitolati senza mai più risollevarsi.
Il piano era semplice e ardito allo stesso tempo. Ci saremmo diretti verso gli Stati Uniti d’America con una rotta ad arco, in modo da evitare più possibile la flotta nemica con la sua contraerea. Una volta giunti nello spazio aereo americano, il nostro obiettivo sarebbe stato il parco di Yellowstone. Perchè proprio Yellowstone? I nostri scienziati ci avevano indicato il cratere di Mammoth Hot Spring come un punto debole della crosta terrestre in territorio americano. Se i loro calcoli fossero stati esatti, e su questo ci si poteva scommettere, la crosta terrestre lì era sottile come una foglia secca. L’impatto della bomba e la sua forza esplosiva avrebbero creato una frattura di un’importanza tale da sconvolgere gli States, che avrebbero dovuto dichiarare la resa per permettere all’esercito di risolvere i problemi in patria.
Il Giappone avrebbe così esteso la sua influenza fino alle coste americane, se non oltre, e poi con un fronte finalmente silente, avrebbe potuto terminare la conquista dell’Asia orientale e meridionale. Sicuramente gli australiani, perdendo il loro alleato più potente, si sarebbero arresi e sottomessi all’Imperatore.
Così l’azione di quattro uomini avrebbe risolto il conflitto.
Ero fiero del compito affidatomi.
Appena mi stesi sul sedile mi addormentai, anche se i sogni mi impedirono di riposare.
Visioni tormentate di uomini e donne in fuga da un orrore terribile si affollavano nella mia mente. Mi sembrava di essere fermo sulla soglia di un evento terrificante. Loro correvano nella mia direzione, in fuga. Mentre mi superavano vedevo i loro volti straziati e le loro espressioni di panico. Alcune donne portavano al seno dei bambini piccoli, mentre altre tenevano per mano dei ragazzetti tutti pelle e ossa dagli occhi incavati e dalla pelle grigiastra, che a stento avrei riconosciuto come persone.
Improvvisamente all’orizzonte vidi una luce accecante e un istante dopo un’ondata di calore mi investì, lacerandomi la pelle. Il calore era così insopportabile e il dolore delle mie carni bruciate così lacerante che mi svegliai di soprassalto, ansante e grondante sudore.
Dovetti aver urlato, perchè gli altri mi guardavano spaventati a loro volta.
Tutto bene, Capitano? mi chiese Hiroshi dal posto di comando.
Si, maledizione, risposi con il sapore della bile che mi inacidiva la bocca. È stato solo un sogno. Cercavo di ricordare a me stesso che solo di un sogno si era trattato, anche se l’inquietudine che mi aveva serrato l’anima in una gelida morsa non voleva andarsene.
Bevvi un sorso d’acqua e affiancai Hiroshi.
Ha ancora tempo per riposare Capitano, mi disse sollecito, probabilmente notando l’espressione stravolta sul mio viso.
Non importa Hiroshi, credo che non riuscirei più a dormire, comunque grazie. Maledetto Tofu! Aggiunsi poi a mo’ di scusa, perchè mi vergognavo molto di aver mostrato una simile debolezza.
Le ore passavano con una lentezza esasperante.
Il silenzio radio che ci eravamo imposti per non rischiare intercettazioni e la via totalmente sgombra di pericoli, ci aveva lasciato praticamente liberi da ogni dovere. Per mantenere la rotta ci bastava solo qualche occhiata alla bussola e all’altimetro.
Fukuoka tirò fuori inaspettatamente una tavoletta per il Go con due sacchetti di pietre bianche e nere. Takao subito lo sfidò. Dopo aver preso il sacchetto di pietre nere, cominciò a disporle sul goban.
La partita durò quasi un’ora e vide la vittoria di Fukuoka, anche se di stretta misura. A quel punto mi sentì in dovere di brindare con un bicchierino di saké che mi ero portato a bordo all’insaputa dei miei superiori.
Il liquore caldo ci rinvigorì e tutti ci sfidammo in quell’antico gioco di strategia.
Alla fine vinse il sergente Fukuoka al quale spettò una doppia razione di saké.
Dopo alcune ore finalmente giungemmo in vista del territorio americano.
La linea della costa si profilava all’orizzonte come una bassa nuvola tempestosa. L’alba ormai prossima colorava il cielo di un rosso intenso. Salutammo il sole sentendoci veramente i suoi figli prediletti. Amaterasu ci baciava dolcemente coi suoi raggi e non potevamo che prenderlo come un dolce incoraggiamento.
Dalla conformazione del territorio e dal calcolo della nostra posizione capimmo di essere un po’ troppo a nord. Quasi in territorio canadese. Decidemmo allora di penetrare nello spazio aereo di quel Paese per evitare l’agguerrita contraerea americana.
Fu una buona decisione perchè non incontrammo nessuna resistenza. Quando giungemmo alle pendici occidentali delle montagne rocciose virammo verso sud alzandoci di quota. Seguimmo la dorsale montuosa fino al territorio americano.
I nostri aerei spia avevano mappato il territorio con una certa precisione, che ci permise dopo alcune rilevazioni di capire esattamente la nostra posizione.
Sotto di noi scorreva il territorio del Montana, ma non era quello il nostro obiettivo.
Dopo circa 26 ore di volo consecutive fummo in vista dell’obiettivo: i crateri del parco di Yellowstone.
Il nostro compito sarebbe stato quello di far esplodere la bomba Nekomata nel Mammoth Hot Spring, la più grande delle bocche eruttive del parco. Lì l’ordigno avrebbe dato il via ad una reazione a catena che avrebbe fatto risvegliare il vulcano addormentato sotto le montagne. I nostri scienziati avevano impiegato anni per rubare queste informazioni agli americani. Innumerevoli spie erano morte, per portare queste informazioni ed ora, grazie a noi, il frutto di un lavoro tanto impegnativo era pronto a cadere nelle mani dell’Impero del Sole.
Mi rivolsi ai miei compagni di viaggio:
Signori, noi tutti siamo giunti fin qui per portare a termine un’azione che non esito a definire eroica. Il nostro sacrificio sarà ricordato nei secoli. Gli Imperatori accenderanno incensi ricordando i nostri nomi, resi immortali dalle nostre gesta. Vi prego di andare ai vostri posti. Stiamo per scrivere la storia!
Con i petti colmi di emozionato orgoglio ognuno si dispose al suo posto.
Fukuoka si sedette sul suo sedile. Notai che chinò il capo e si raccolse in una silenziosa preghiera. La sua figura ebbe un tremito, quasi che sentisse su di sé il peso del mondo intero.
Io mi avvicinai alla cloche e con lo sguardo cercai il volto sorridente di Sato, così bella e spensierata, poi iniziai la discesa che ci avrebbe portato al nostro obiettivo.
Dopo alcuni minuti di volo, Hiroshi spezzò il silenzio annunciando: Eccolo lì!
Il cratere si apriva  lungo una vallata immersa nel verde delle foreste di conifere. Il fumo sulfureo che si alzava dalle pozze gorgoglianti era ben visibile nel freddo del mattino di montagna. Alcuni uccelli rapaci si stavano mollemente facendo trasportare dalle correnti ascensionali, in cerca di una facile preda.
Tutti scattarono d’improvviso, ripetendo per l’ultima fatale volta ognuno i propri compiti.
Io posizionai il velivolo su un piano orizzontale a circa cinquecento metri dal suolo nello stretto vallone che portava alle bocche eruttive. Circa due km prima dell’obiettivo.
Fukuoka si spostò alla posizione di lancio. Non aveva mai mancato il suo obiettivo in tutte le prove che avevamo fatto. Quando un giorno gli chiesi come diavolo facesse, lui mi ripose che semplicemente chiudeva gli occhi e sentiva il momento. Non so come facesse, ma era bravissimo.
A circa millecinquecento metri dall’obiettivo Hiroshi collegò un registratore e diffuse la musica celestiale dell’inno dell’Impero del Sole. I nostri cuori erano gonfi di orgoglio e di adrenalina.
Mille metri. Ci siamo, ragazzi. Siate pronti e orgogliosi di servire gli dei del Giappone. Ecco la gloria immortale!
Cinquecento metri. Fukuoka sganciò la bomba che si staccò dal suo alloggio con un ronzio mesto e scivolò fuori dalla stiva, compiendo una lenta caduta parabolica verso i geyser.
Zero metri. La bomba penetrò nella cavità accanto al geyser, scavando una fossa di quasi venti metri nel suolo. Potemmo sentire l’impatto dalla nostra posizione.
Quando fummo quasi a un chilometro dal punto di contatto, un rombo inaudito si levò dalla terra. Tutti ci voltammo pieni di terrore, mai avevamo pensato che l’effetto sarebbe stato di tale immensa potenza.
Diedi gas ai motori, tirando la cloche per guadagnare quota, mentre insieme agli altri mi voltai per osservare quel terribile spettacolo.
La terra si stava gonfiando, come una immensa bolla. Intanto il terreno tutto intorno al cratere formato dalla bomba cominciava a tremare e sussultare. D’un tratto tutto si illuminò di una luce accecante e subito dopo la bolla esplose in un’immensa colonna di fuoco e magma incandescente.
L’onda d’urto ci raggiunse, percuotendo l’aereo, svellendo le lamiere della fusoliera e delle ali. Persi il controllo e mollai i comandi.
Dietro di me sentì Fukuoka e Takao che urlavano, mentre Hiroshi imprecava violentemente.
Non sarebbe dovuto andare così.
Qualcosa non aveva funzionato a dovere oppure qualche calcolo era stato sbagliato.
Guardai un ultima volta la foto di Sato, che si stava accartocciando per l’immenso calore. Poi, insieme ai miei compagni, morì.

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Un racconto breve di AGO

5 commenti:

  1. bel racconto, tutto confluisce e viene trascinato via dall'esplosione.

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  3. eccellente racconto Ago,un racconto dal sapore distopico,genere molto affascinante e interessante e il finale particolarmente spiazzante!
    La bomba atomica dal punto di vista dei giapponesi...geniale davvero!
    Visitando il tuo blog e leggendo questo racconto mi pare di capire AGO che sei un grande cultore del Giappone?
    Anch'io lo sono,oltre ad essere un appassionato di letteratura sono anche estimatore del cinema asiatico (in particolar modo coreano e giapponese),

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    1. Questo è stato un esperimento di un libro a quattro mani (poi fallito) su un presente alternativo, stile "Svastica sul sole" di Dick.
      La cultura del Giappone mi affascina molto, ma tutto sommato non la conosco così bene.
      Amo gli haiku

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  4. Io diciamo sò l'essenziale riguardo il Giappone!
    Ho visionato in questi ultimi anni tantissimi film e Dorama (telefilm) in lingua originale e con i sottotitoli in italiano.
    Ho imparato tante cose riguardante questa splendida cultura,il modo di vivere,il cibo,le tradizioni...
    Ma la cultura giapponese è troppo vasta servirebbero tanti studi approfonditi.
    Una cosa è certa è un mondo (in tutti i sensi) troppo lontano dal nostro.
    Ma non è tutto oro ciò che luccica,in questo paese nonostante una criminalità piuttosto bassa, vige troppa indifferenza e omertà,mobbig,bullismo e i diritti umani vanno a farsi benedire (i carceri giapponesi sono i più duri al mondo).
    Ma per il resto il Giappone è un ottimo paese

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