Non ricordo la data precisa
quando cominciò. Ma ho perfettamente in mente la prima volta.
Era una giornata di pioggia
intensa. Dal mattino presto un terribile acquazzone infradiciava le strade e le
persone di M…
Io uscii, non so se per lavoro o altro, quando decisi di fare una
sosta ristoratrice prendendomi un caffé.
Sulla soglia del bar scossi
il mio vecchio ombrello nero caratterizzato da un buco su un lembo e una stecca
storta. Aprii la porta, mi avvicinai al portaombrelli e lo notai. Era un ombrello.
Magnifico. La copertura di tela decorata da disegni blu su sfondo verde, il
fusto di acciaio lucido e il manico in legno chiaro. Stava ordinatamente
riposto legato col suo cintolino, risplendente sugli altri esemplari tristi e
grigi. Scattò subito in me un fortissimo e strano desiderio di possedere quel
meraviglioso oggetto, tanto la sua bellezza mi aveva ammaliato. Cercai di
mantenere la calma, mentre docilmente mi accodavo agli altri avventori in fila
per fare lo scontrino alla cassa. Intanto volgevo intorno lo sguardo cercando
di indovinare quale fosse tra i clienti il possessore di quella meraviglia. Nel
frattempo arrivai alla cassa e pagai il mio caffé, che sgomitando riuscii ad
ordinare al barista.
Quello che mi rimaneva da
decidere era quando sarei entrato in possesso di quell’oggetto, cioè quando
agire. Il caso decise per me facendo entrare nel locale un gruppo di persone
chiassose e vocianti. Finii il caffé in un sorso. Era bollente e ricordo che mi
bruciai la lingua. Mi avviai all’uscita e con estrema noncuranza estrassi dal
portaombrelli quella specie di dono. Subito fuori della porta col cuore in gola
me lo aprii sulla testa, per poi allontanarmi a passi svelti. Ricordo che per
paura di essere seguito, presi un tram a caso che stava arrivando e ne scesi
dopo alcune fermate.
La mano con la quale reggevo
l’Ombrello Meraviglioso, la sinistra, era illuminata di verde e blu. La tela
filtrava la luce di questo scialbo mondo, colorandomi di sé. Ah, meraviglia!
Esci da casa. Precipitati fuori e fuggi da quell’odioso energumeno che
hai sposato non so più perché. Ogni giorno le vessazioni che ella ti infligge
diventano sempre più umilianti e tu sei prigioniero della tua incapacità di
reagire. Puoi avere su di lei quest’unica piccolissima rivincita. Prendimi e
usciamo. Ora che piove, mentre lei dorme ancora. Lasciale quell’altro
striminzito ombrellino nero, che neanche la copre tutta. Certo, quando tornerai
a casa lei ti aggredirà per questo, ma che t’importa. Per un attimo lei avrà
pagato.
Mentre camminavo nella
pioggia, montava in me uno strano sentimento di odio furioso verso quella
creatura opprimente, che era mia moglie ma che non conoscevo.
Non andai al lavoro quel
giorno, né a casa. Lo trascorsi camminando per le vie di una città affannata e
fradicia, sotto certi aspetti sconosciuta, con quei nuovi ricordi e pensieri
che mi affollavano la mente. Che non erano i miei ma era come se lo
fossero! Nella mia testa, nella mia memoria e anche nella mia coscienza, due
personalità, anzi due persone, si osservavano a vicenda e quasi combattevano
per il predominio.
Non ricordo come tornai
finalmente a casa. Infilai l’Ombrello Meraviglioso con un gesto automatico nel
portaombrelli e mi occupai delle solite faccende domestiche non pensando a ciò
che mi era successo. Seppur un certo disagio mi accompagnò fino alla notte.
Fu quasi con sorpresa che il
giorno dopo mi riaprii sulla testa l’Ombrello Meraviglioso, che di nuovo mi
inondò con gli strani pensieri del suo vecchio proprietario, che dovevano
essergli rimasti impigliati dentro e che io in qualche modo percepivo.
Così accadde per vari giorni
successivi, finche capitai in un bar molto al di fuori della mia solita zona.
Entrando riposi l’ombrello all’ingresso insieme agli altri, per poi ordinare
qualcosa e sorseggiando (non so cosa fosse, ma ho chiaro il ricordo di
quell’idea che nacque mentre ingerivo un liquido caldo), mi venne in mente di
cambiare l’Ombrello Meraviglioso con un altro. Forse una prima scintilla scoccò
quando vidi nel portaombrelli un esemplare di un bel rosso vivo e di dimensioni
fuori dalla norma, che faceva bella mostra di sé tra gli altri. Pagato il conto
mi diressi all’uscita e lo estrassi contemporaneamente lanciando un’occhiata
agli avventori. Quando le dita si strinsero attorno al manico, incrociai lo
sguardo della proprietaria, una ragazzetta bruna dall’aria scialba e un poco
volgare. Fu un attimo, il tempo di un respiro e già ero fuori con il Nuovo
Ombrello Meraviglioso sulla testa. Ero rosso alla sua luce.
Che fatica tutti i giorni la scuola, con quel ragazzo antipatico che ti
prende in giro e ti ferisce chiamandomi brutta. Poi il pomeriggio nel negozio
di tua madre a sfacchinare, senza una minima riconoscenza in cambio. Nel sonno
abbracci la tua bambola di pezza, unica amica nelle notti insonni. Intanto
sogni l’amore, una vita felice che non avrai mai, che sarà stata sempre, come
ora, infelicità e amarezza.
Quei pensieri di paura,
speranza e tristezza mi penetrarono la mente con tale violenza che ne fui
sopraffatto. Chiusi il grande ombrello rosso quasi ansimando. Volevo cambiare
ancora vita.
Fortunatamente potevo farlo
semplicemente cambiando ombrello e assaporando i nuovi pensieri e i nuovi
ricordi che vi avrei trovato impigliati.
Per essere sicuro di trovare
felicità nell’ombrello, andai in una zona molto chic della città ed entrai in
un’elegante sala da tè. Entrò ad un certo punto un giovane dall’aspetto
affascinante con l’aria di chi è sicuro di sé. La copertura del suo ombrello
era di uno spesso tessuto di un intenso bruno caldo, con il fusto ed il manico
in legno chiaro. Decisi di prendere a lui ciò che a me mancava.
Tale era il bisogno di
sbarazzarmi della soffocante angoscia della mia vita opprimente, che senza il
minimo ritegno entrai nel locale, scambiai gli ombrelli e uscii.
La pioggia bagnava il mondo
intorno.
Sei un manager rampante di una importante società. Incedi tra la gente
che ammira i tuoi modi sicuri e
risoluti. La tua vita è un susseguirsi di impegni di lavoro, di feste con gli
amici, di incontri galanti e tuttavia è vuota. Dove sono gli amici, dove le
donne che dicevano di amarti? Quale è in definitiva lo scopo della tua vita? Il
divertimento, i soldi, il sesso sono solo schermi dietro ai quali nascondere un
egoismo fine a se stesso. Dove sono tutti quando hai bisogno di aiuto, quando
nelle sere solitarie la tristezza ti prende con le sue dita di ghiaccio
lacerandoti l’anima?
No, non era possibile! Di
nuovo mi precipitai in un altro bar,
Hai ancora tradito tuo marito? Ti senti in colpa, vero? Ma non puoi farne
a meno.
E in un altro ancora.
Anche oggi hai pianto, per quella ragazza che non ti guarda nemmeno?
E poi in un altro quel giorno
e nei giorni successivi.
Sei solo un piccolo uomo con un piccolo lavoro. Ti senti schiacciato,
eh?
Fui uomini, fui donne, fui
vecchi e giovani. Ma mai più fui me stesso e ogni giorno innumerevoli volte
provai il disagio e il dolore, la tristezza e raramente un barlume di felicità,
soffocato e spesso crudele. Sentii le ansie e le angosce di gente che furono
me, di vite che divennero la mia, di cui io mi appropriai rubandone frammenti
impigliati a quei testimoni silenziosi e memori che sono gli ombrelli.
Ora mi trovo qui senza
neanche sapere chi io sia. Solo un ricordo veramente mio è rimasto. Quel
vecchio ombrello nero con un buco su una falda e una stecca storta, smarrito
chissà dove, che forse trattiene ancora con sè una piccola parte di me.
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